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sabato 8 giugno 2013

Ariadne e Amalasunta

Ariadne, imperatrice di Bisanzio e Amalasunta, regina dei Goti


Aelia Ariadne, figlia del futuro imperatore Leone I (457-474) e della moglie Aelia Verina, nacque intorno al 450.
Nel 467 andò in sposa a Tarasis (che per rendersi più accettabile alla corte costantinopolitana cambiò il proprio nome in Zenone), un brillante ufficiale isaurico del corpo degli excubitores (guardia imperiale) fondato da Leone I di cui godeva della massima fiducia. Nel corso dello stesso anno Ariadne partorì il suo unico figlio, il futuro imperatore Leone II.
Alla morte di Leone I (18 gennaio 474) fu proclamato imperatore il giovane figlio di Zenone e Ariadne, Leone II, a cui subito dopo, data la sua tenera età, fu associato al trono come coimperatore Zenone.
All'improvvisa morte di Leone II (17 novembre 474), Zenone rimase l'unico imperatore.

Le sue origini isauriche resero rapidamente Zenone inviso alla corte costantinopolitana nonché alla influente componente gota dell'esercito, capeggiata dal magister militum, Teodorico Strabone.
La suocera di Zenone, Verina, fomentò quindi una rivolta popolare a Costantinopoli che fu appoggiata sia dal magister militum che dal generale isaurico, Illo.
Verina convinse quindi Zenone a fuggire da Costantinopoli e l'imperatore si diresse nelle proprie terre di origine, portando con sé alcuni Isaurici che vivevano nella capitale, la moglie Ariadne e il tesoro imperiale.
Basilisco, il fratello di Verina, fu acclamato augusto il 9 gennaio 475 al palazzo Hebdomon, dai ministri di corte e dal Senato.
Verina aveva in realtà organizzato il colpo di stato contro Zenone progettando di mettere sul trono il suo amante, il magister officiorum, Patrizio, ma era stata preceduta da Basilisco, il quale poco dopo essere salito al trono, ordinò l'esecuzione dell'amante di Verina, che era il candidato naturale per un eventuale colpo di stato, alienandosi così l'appoggio della sorella.
Basilisco si alienò in breve tempo anche il sostegno della chiesa e della popolazione della capitale, appoggiando le posizioni monofisite in contrasto con quelle, maggiormente diffuse, espresse dal II Concilio di Calcedonia (457).

Nell'estate del 476, i generali isaurici Illo e Trocundo, che pure avevano appoggiato il suo colpo di stato, mentre assediavano la fortezza di Sbide in Isauria, dove Zenone si era asserragliato, ricevettero delle lettere da parte di alcuni dei più eminenti esponenti della corte costantinopolitana, che chiedevano loro di favorire il ritorno di Zenone, in quanto la città preferiva ora un isaurico ad un monofisita. Illo e Trocundo passarono quindi dalla parte del deposto imperatore e marciarono al suo fianco su Costantinopoli. Né Armazio, nipote di Basilisco e da lui posto al comando dell'esercito presentialis, probabilmente corrotto dal denaro di cui Zenone poteva disporre, né Teodorico Strabone, secondo alcune fonti impegnato in Tracia a contenere i goti del futuro Teodorico il grande che parteggiava per Zenone, sbarrarono il passo all'avanzata di Zenone e dei suoi partigiani.

In agosto Zenone ed i suoi alleati comparvero alle porte della città che furono aperte per ordine del Senato. Basilisco si rifugiò con tutta la sua famiglia nella chiesa di Santa Sofia.
Tradito dal patriarca Acacio, Basilisco si consegnò a Zenone assieme alla propria famiglia, dietro la solenne promessa che l'imperatore non avrebbe versato il loro sangue; Zenone, infatti, mandò il deposto usurpatore e la sua famiglia in una fortezza in Cappadocia, dove furono messi a morte per inedia all'interno di una cisterna.
Nel 479 Ariadne venne in urto con il marito a causa della madre Verina, che aveva cercato di far assassinare Illo ed era stata da questi imprigionata. Nonostante ciò aveva sostenuto la rivolta di Marciano, il marito dell'altra sua figlia Leonzia. Ma questo attrito non ebbe alla lunga effetti sulla loro unione. Ariadne rimase infatti al fianco di Zenone fino al giorno della sua morte il 9 aprile 491.

Rimasta vedova, Ariadne favorì l'ascesa al trono di un funzionario di palazzo, Anastasio, che lei ben conosceva e che aveva la caratteristica di avere un occhio azzurro ed uno nero, sì da meritarsi il soprannome di Dicoro (due pupille). Anastasio fu proclamato imperatore dal Senato l'11 aprile e sposò Ariadne il 20 maggio dello stesso anno.
Ariadne morì senza aver partorito altri figli nel 515 e fu sepolta nella chiesa dei Santi Apostoli.



Amalasunta, figlia di Teodorico il grande e della principessa franca Audofleda, nacque a Ravenna nel 495 circa.
Nel 515 sposò Eutarico, della stirpe degli Amali, che morì nel 522, lasciandola con due figli: il maggiore, Atalarico, di cinque anni, e Matasunta.
Alla morte del re Teodorico, nel 526, succedette al trono il nipote Atalarico e Amalasunta assunse la reggenza.
Profondamente influenzata dalla cultura romana - parlava correntemente latino e greco - Amalasunta diede all'istruzione del figlio un'impostazione più in linea con la tradizione romana che con quella gota e perseguì una politica di buoni rapporti tra Goti, Romani e Bizantini, favorendo la nomina di elementi moderati alle maggiori cariche dello Stato.
La politica filobizantina e gli atteggiamenti romanizzanti le alienarono i favori di una parte della nobiltà ostrogota, che riuscì a sottrarle la cura dell'educazione del figlio, allo scopo di farne un futuro re che potesse governare secondo le tradizioni degli antenati.
Amalasunta reagì bandendo, e successivamente facendo uccidere, tre dei capi sospettati di cospirare contro il suo potere e allo stesso tempo aprì dei negoziati segreti con l'imperatore Giustiniano I, nella prospettiva di fuggire a Costantinopoli con il tesoro ostrogoto, consistente, secondo Procopio, nell'enorme somma di 2.880.000 solidi d'oro.
Nel corso della guerra vandalica (533-534), Amalasunta permise alla flotta bizantina, che trasportava in Africa il corpo di spedizione guidato da Belisario, di utilizzare il porto di Siracusa come base operativa ed occupò l'enclave vandala di Lilibeo in Sicilia (Lilibeo, già ostrogota, era stata portata in dote al re vandalo Trasamundo dalla moglie Amalafrida, la sorella di Teodorico il grande).

Alla morte del figlio Atalarico (2 ottobre 534), Amalasunta divenne regina a tutti gli effetti e associò al trono il cugino Teodato, figlio del primo matrimonio di Amalafrida, duca di Tuscia, con l'intento di rafforzare la propria posizione. Teodato era infatti uno dei più influenti esponenti della nobiltà gota ma, avendo ricevuto anch'egli una educazione greco-romana, poteva rappresentare, nei disegni della regina, un elemento di equilibrio nella politica perseguita da Amalasunta, rassicurando gli elementi goti all'interno e garantendo, all'esterno, i buoni rapporti con l'Impero d'Oriente.

Il 30 aprile 535, Teodato spogliò Amalasunta delle insegne reali e la fece relegare sull'isola Martana nel lago di Bolsena.
All'inizio dell'estate i parenti dei tre capi ostrogoti fatti assassinare da Amalasunta strapparono a Teodato il decreto di condanna a morte a cui essi stessi diedero seguito strangolando la regina nei bagni della sua residenza. (Cfr. anche La dinastia degli Amali).


Ad Amalasunta venivano convenzionalmente attribuite tre teste marmoree, tutte ritrovate a Roma:

1) Testa conservata nei Musei Capitolini (Palazzo dei Conservatori)
 
 
Rinvenuta nel 1887 nell’area della Suburra, mostra un volto giovanile ovale e carnoso, enormi occhi leggermente sporgenti con palpebre spesse e iridi cave. La bocca piccola con gli angoli leggermente sollevati, è separata dal mento da una fossetta.
I capelli sono ricoperta da una cuffia ornata da fili di perle, interrotti dalla presenza di grandi gemme rettangolari.
Rispetto agli altri presunti ritratti di Amalasunta questo si caratterizza per la diversa acconciatura nonché per l’aspetto più giovanile del volto e per le forma più rotondeggiante.
Il ritratto fu attribuito ad Amalusanta dal Visconti, ipotesi ripresa successivamente da Fuchs.
Un gruppo di studiosi, a cominciare da Delbrück, suggerisce invece una matrice bizantina del ritratto, attribuendolo all'imperatrice Ariadne anziché ad Amalasunta.
Questa ipotesi appare a tutt'oggi più convincente, Wessel sostiene che il tipo di acconciatura presente nel ritratto dei Musei Capitolini fu indossato solo da Ariadne durante il regno del secondo marito Anastasio (491-518), portando a sostegno della sua teoria un presunto ritratto di Anastasio alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen che presenta affinità tecniche e formali, in particolare nella plasticità del volto e nella resa dello sguardo con la testa dei Musei Capitolini.
Studi più recenti, più prudentemente, tengono una posizione più incerta fra le due figure, o anche con una dama della corte imperiale, in quanto il carattere stereotipato dell’immagine non permette una identificazione ad personam; questa astrazione meglio si converrebbe ad un immagine imperiale, dove prevale la volontà di rappresentazione del potere, piuttosto che di un ritratto privato dove più a lungo rimangono connotazioni realistiche. Ad un contesto imperiale sembra rimandare la morbida levigatezza delle superfici, tese ed immobili, che si ricollegano a stilemi tipici della ritrattistica dinastica di età teodosiana.
 
2) Testa conservata nel Museo della Basilica di S.Giovanni in Laterano
 
 
Proveniente molto probabilmente dall’area del Laterano, la testa venne fissata nel XVI secolo su un busto non pertinente, le venne inoltre aggiunto un nimbo (sono ancora visibili i fori di inserzione sul retro), forse in ragione dell’identificazione con Elena, madre di Costantino.
Stilisticamente ed iconograficamente il ritratto si apparenta ad un altro esemplare oggi al Louvre ma di provenienza romana.
Raffigura una donna non più giovane, dalla corporatura massiccia e pesante, grandi occhi dal taglio lunato, originariamente messi in risalto da inserti di pasta vitrea o smalto che rappresentano il fulcro del ritratto su cui si concentra lo sguardo dello spettatore.
L'acconciatura è formata da un copricapo (kamelaukion), probabilmente semirigido, destinato a coprire i capelli, secondo uno spirito di modestia e semplicità che dovrebbe caratterizzare la donna cristiana e per il quale si erano battuti i maggiori intellettuali cristiani dell’epoca, con la loro decisa riprovazione per le sontuose acconciature del secolo precedente, caratterizzate da una vistosa pettinatura con i capelli riportati verso l’alto, appoggiati ad un posticcio e trattenuti alla base da un nastro perlinato o da un nastro aureo ornato da pietre preziose; questa acconciatura, nata sul finire del IV secolo continuerà per tutto il secolo successivo e oltre fino agli inizi del VI.
 
3) Testa conservata al Louvre
 
 
Il naso è di restauro. La testa è entrata a far parte delle collezioni del Louvre nel 1911, molto probabilmente proveniente da Roma.
Le similitudini con la testa del Laterano sono impressionanti, sia iconograficamente che stilisticamente, tanto che si può supporre con ottime basi, nonostante la fortissima astrazione, che i due ritratti raffigurino lo stesso personaggio. Uguali i tratti del volto, l’acconciatura, la resa per geometrie pure dei piani del volto, la maggiore differenza è data dalla presenza di un modellato più sfumato e soffuso rispetto all’esemplare romano.

L’attribuzione dei due ritratti ha a lungo oscillato fra due ipotesi principali, che vedono nel personaggio raffigurato rispettivamente la regina gota Amalasunta o l’augusta bizantina Ariadne.
Significativa l’obiezione avanzato da Piltz riguardo al tipo di copricapo indossato, privo dell’attributo specificatamente imperiale dei pendilia, che invece compare sui dittici eburnei della stessa Ariadne (vedi dopo). In effetti il copricapo non appare connotato in senso imperiale, ma neppure reale, limitandosi ad indicare l’elevato rango dell’effigiata.
Wessel attribuisce l’introduzione di questa nuova forma di acconciatura proprio ad Ariadne negli ultimi anni del suo regno. L’assenza dei pendilia nei ritratti marmorei può inoltre essere dovuta a scelte iconografiche, nonché a problemi tecnici di realizzazione, diversi da quelli che caratterizzano i dittici eburnei, si noti come il ritratto bronzeo di Niš, la cui identificazione con Eufemie non è certa, ma che raffigura certamente un’augusta, presenti un copricapo analogo a quello dei ritratti del Laterano e del Louvre, anch’esso privo di pendilia, assenza che parrebbe quindi caratteristica delle immagini a tutto tondo rispetto a quelle in rilievo.
Stilisticamente i pezzi si inseriscono serenamente nelle coordinate della ritrattistica imperiale del tempo, con alcuni elementi, come il modellato del ritratto del Louvre, propri delle botteghe costantinopolitane. Contro questa provenienza gioca invece non tanto il rinvenimento a Roma quanto piuttosto il materiale utilizzato, che sembra essere marmo di Carrara e non un marmo bianco greco od orientale.

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Due pannelli d'avorio, conservati rispettivamente al Kunsthistorisches Museum di Vienna e al Museo del Bargello di Firenze, forse addirittura parti di un unico polittico, o comunque appartenenti ad una medesima serie di dittici, raffigurano un’Augusta dell’inizio del VI secolo, circondata dagli attributi del suo potere.
 
Kunsthistorisches Museum, Vienna
 
Il pannello di Vienna mostra un’imperatrice seduta in trono, sotto un baldacchino. Il baldacchino è organizzato secondo principi architettonici, ai lati colonne scanalate con capitelli a foglie e basi a tamburo e fusti decorati da gioielli reggenti una sottile trabeazione e una cupola con scanalature incise a motivi vegetali, affiancata da due aquile, poggianti su basi vegetali.
Due tende, che pendono da un’asta sono avvolte intorno alle colonne. L’impressione è che sia raffigurato un apparato di rappresentanza, probabilmente effimero.
Il trono presenta due pilastrini frontali, decorati con pietre lavorate e sormontati da globi; lo schienale curvilineo compare alle spalle dell’imperatrice. Il suppedaneo, a forma di scatola, è anch’esso decorato a rappresentare pietre preziose. Il cuscino su cui si appoggia l’augusta è di tipo cilindrico ricamato con rosette a forma di stella all’interno di cerchi concentrici, mentre alle estremità sono presenti dischi circolari.
La figura femminile, tiene nella mano destra un globo sormontato da una croce gemmata, mentre la sinistra è tenuta con il palmo in avanti, piegata all’altezza del gomito. Indossa tunica, dalmatica, clamide e calzature ornate da gioielli. La tunica ha le maniche bordate da file di perle, così come perle sembrano alternarsi ad incastonature stellate nella collana. La clamide è in tessuto ricamato con motivi a rosetta, presenta una bordura in pietre preziose e nel mezzo è un inserto bordato di perle, nel quale era un busto, oggi molto rovinato, in cui si riconoscono la sagomo di un elmo con al di sotto lunghi capelli: potrebbe trattarsi di una personificazione di Roma o Costantinopoli.
La corona è formata da una cuffia decorata da gioielli sopra la quale è un diadema con pendilia, attributo esclusivamente imperiale che esclude l’identificazione originariamente proposta con Amalasunta, che mantenendosi fedele alla tradizione paterna non si arrogò mai il diritto di usare simboli esclusivi dell’autorità imperiale di Costantinopoli.
L’immagine è assolutamente depersonalizzata, il ritratto non presenta nessun elemento individualizzante, sembra connettersi ad una epifania del potere imperiale, reso dalla solennità della posa e dalla abbagliante ricchezza delle vesti e degli arredi, sicuramente più confacente ad un’augusta d’Oriente che alla regina dei goti.
 
Museo del Bargello, Firenze
Il pannello conservato al Museo del Bargello presenta una impostazione analoga a quello di Vienna, il baldacchino ha identica struttura, salvo l’assenza di decorazione sulla cupola, le aquile reggono con il becco una ghirlanda, probabilmente perduta a Vienna. L’imperatrice, vestita in modo analogo a quello del pannello viennese è raffigurata stante, in posizione rigidamente frontale. Nella mano sinistra tiene un lungo scettro e nella destra il globo sormontato dalla croce gemmata.
 
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La presenza a Roma e negli altri maggiori centri d’Italia di effigi degli augusti di Costantinopoli sembra molto probabile viste le particolarità del regno ostrogoto d’Italia. Il fatto che la dinastia amala esercitasse ufficialmente il proprio potere in Italia per delega dell’Imperatore d’Oriente, e l’attenzione mostrata dai goti a non offendere la suscettibilità di Bisanzio con atteggiamenti che potessero apparire un tentativo di crearsi un imperium in imperio - si veda a proposito la politica monetaria - ben giustificherebbe la presenza delle statue degli augusti d’Oriente, legittimi sovrani d’Italia, sulla quale Teodorico regnava per loro mandato.
Il regno di Anastasio e Ariadne (491-518) rappresenta inoltre un momento particolarmente felice nelle relazioni fra la corte imperiale e il regno ostrogoto, è quindi plausibile che statue della famiglia imperiale siano sopravvissute ai momenti più drammatici della guerra greco-gotica, risparmiate dall’odio montante contro i bizantini, proprio per il buon ricordo che Anastasio e la sua famiglia serbavano nell’immaginario goto, e del quale abbiamo una significativa testimonianza numismatica, quando il ritratto dell’aborrito Giustiniano venne sostituito con quello del vecchio imperatore Anastasio, che aveva impostato la politica di rapporti fra Bisanzio e l’Italia gota all’insegna della pace e della cooperazione.

Moneta d'argento con l'effigie di Anastasio fatta coniare da Totila (Baduila), 543-549

L’identificazione con una augusta bizantina spiegherebbe inoltre come i ritratti non siamo caduti vittime della dannatio memoriae praticata dopo la riconquista imperiale sulle immagini della famiglia reale gota, che portò alla distruzione di gran parte delle immagini di Teodorico il grande e degli altri regnanti e alti dignitari ostrogoti (vedi i mosaici in S.Apollinare Nuovo a Ravenna).


Amalasunta va invece riconosciuta con certezza nel ritratto entro clipeo del Dittico di Oreste, dove compare senza corona, soltanto con il pilos, il tradizionale copricapo goto, trapunto di perle.
 
Dittico consolare di Oreste
Victoria and Albert Museum, Londra
Flavio Rufio Gennadio Probo Oreste era un patrizio romano. Fece realizzare questo dittico in occasione del suo consolato del 530, durante il regno di Atalarico (526-534) che è raffigurato nel clipeo accanto a quello della madre Amalasunta.
 
Dittico di Oreste, particolare del ritratto di Amalasunta
 
 



 


 




 
 


1 commento:

  1. Ho appena visitato Salonicco ed ho trovato utilissime le indicazioni di questo blog.
    Potrei avere qualche indicazione bibliografica in inglese o in francese sulla storia delle chiese di Salonicco, sono particolarmente interessata ai mosaici.
    silvia

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