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domenica 28 ottobre 2012

S.Eugenio di Trebisonda


S.Eugenio di Trebisonda

I santi martiri Eugenio, Candido, Valeriano ed Aquila furono perseguitati per la loro fede durante il regno di Diocleziano (284-305). Candido, Valeriano ed Aquila si nascosero nelle colline vicine a Trebisonda preferendo vivere in mezzo agli animali selvatici piuttosto che insieme ai pagani. Catturati, furono condotti in città, frustati a sangue e torturati con ferri roventi. Qualche giorno dopo fu arrestato e sottoposto alle stesse torture Eugenio. Il santo per mezzo delle sue preghiere distrusse la statua del dio Mitra, che sino ad allora era stata oggetto di venerazione da parte del popolo trapezuntino, collocata nel santuario che sorgeva sulla collina che portava il suo nome (l'attuale Boz tepe=collina grigia). Le ferite dei quattro martiri furono ricoperte di sale e aceto ed infine vennero gettati in una fornace per essere arsi vivi. Quando ne uscirono illesi furono decapitati. Il loro martirio avvenne nel 304 sotto il governatore romano Pontitus Catinius Coresinus.

I resti di S.Eugenio furono tumulati in una tomba senza nome ma quando l'imperatore Costantino il grande concesse ai cristiani la libertà di culto in tutto l'impero (Editto di Milano, 313) fu costruito un martyrion sopra la tomba del santo.
Nell'812 (secondo la storica Selina Ballance nel 1021-1022) fu costruita una chiesa (l'attuale moschea Yeni Cuma) sul luogo dove era avvenuto il martirio del santo e vi furono traslati i suoi resti e quelli degli altri tre martiri.

Sant'Eugenio fu scelto dall'imperatore Alessio I Comneno (1204-1222) e dal popolo di Trebisonda come santo patrono della città e la sua immagine fu effigiata sulle monete.

S.Eugenio raffigurato sul diritto di una moneta battuta da Manuele I Comneno (1238-1263)


S.Eugenio raffigurato in un affresco nel monastero di Dionisio sul monte Athos

Questo monastero athonita fu costruito nella seconda metà del XIV secolo dal monaco Dionisio grazie all'aiuto finanziario dell'imperatore di Trebisonda Alessio III Comneno (1349-1390) e di sua moglie Teodora Cantacuzena, ottenuto per intercessione del metropolita di Trebisonda Teodosio che era suo fratello.




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