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sabato 22 settembre 2012

Le catacombe di S.Valentino


Catacombe di S. Valentino

Ingresso alle catacombe

Le catacombe di San Valentino si sviluppano al primo miglio della via Flaminia, nel declivio nord-ovest dei monti Parioli, dove è ancora visibile anche una necropoli di superficie, costituita da una fila di mausolei.
Il complesso, formato da diversi nuclei, è situato su viale Pilzudski, ai piedi dei monti Parioli. Valentino muore durante la persecuzione di Claudio il Gotico (268-270) e le sue spoglie, secondo le fonti, furono deposte nel podere della matrona Sabina, al primo miglio della via Flaminia.
Inizialmente l’area era occupata da un cimitero pagano, con tombe e mausolei datati tra il II ed il III secolo d.C. mentre, successivamente, ospiterà deposizioni cristiane strettamente legate alla venerazione del martire Valentino.
Intorno al III secolo fu scavata, nel fianco della collina, una piccola catacomba articolata su due piani con gallerie che si intersecavano regolarmente secondo lo schema a graticola.
Nel IV secolo, ampliando la galleria principale, fu creato un vano d'accesso nel quale si notano le decorazioni a fresco databili tra il VII e l’VIII secolo: sono qui rappresentate rare scene legate alla Natività, la Crocefissione e vari personaggi appartenenti alla storia della Chiesa.


Non è chiaro se il corpo del martire fu inizialmente sepolto in questa catacomba per poi essere traslato nella basilica o se fu deposto all’esterno in un sarcofago, intorno al quale si formò un’area venerata, quadrangolare, recintata, con una piccola abside scavata nella roccia, poi inglobata nella basilica fatta costruire da Papa Giulio I (337-352).
Nel nuovo edificio (a destra nella piantina), a tre navate, fu realizzata un’abside semicircolare, addossata alla collina, molto più ampia della precedente e sopraelevata. Tutta la zona del presbiterio risultò quindi rialzata e servita da una o due scale di pochi gradini. L’area della memoria fu allargata e delimitata da due nuovi muri, longitudinali e paralleli ai primi. La basilica fu modificata con i lavori di Papa Onorio I (625-638), portati a termine da Teodoro I (642-649). Fu ulteriormente rialzato il presbiterio e creata una cripta: una sorta di corridoio rettilineo che, in corrispondenza dell'altare superiore, aveva una piccola esedra dalla quale i fedeli, attraverso una "fenestella confessionis", potevano veder le reliquie del martire. Ulteriori interventi di restauro furono eseguiti fino al XIII secolo, dopo di che, a seguito della traslazione delle reliquie del martire nella chiesa di Santa Prassede (1), la basilica cadde in progressivo abbandono.

La cripta 'rettilinea' e, sulla sinistra, l'abside preesistente incorporato nella basilica di papa Giulio I


Ai lavori eseguiti durante il pontificato di Teodoro I, tra i più consistenti del VII secolo, va probabilmente riferita anche la decorazione pittorica dell’ambiente di accesso alla catacomba.
Gli affreschi purtroppo appaiono oggi molto danneggiati ma possiamo ricostruire il programma iconografico grazie all'accurata descrizione, corredata da disegni, lasciataci dall'archeologo maltese Antonio Bosio che scoprì la catacomba sul finire del XVI secolo (Antonio Bosio, Roma sotterranea, 1632).



Nella parete di ingresso e in quella destra e sinistra si sviluppava una teoria di santi orientali e occidentali, tra i quali l'archeologo riconobbe san Lorenzo.
Nella parete di fondo, sul lato sinistro, i soggetti rappresentati sono legati al tema iconografico della Natività: al centro, inquadrato da una nicchia, il busto nimbato della Vergine con in braccio il Bambino. Lateralmente corre la didascalia s (an)c (t)a Dei Genetrix.


Intorno alla nicchia erano dipinte tre scene, ricostruibili grazie ai disegni di Bosio.
A sinistra la Visitazione di Maria ad Elisabetta con l'abbraccio tra le due donne. Sulla destra due donne – una delle quali identificabile dalla didascalia di cui ancora oggi rimane qualche lettera come la levatrice Salomé – nell'atto di lavare il Bambino e sopra la nicchia ancora Salomé mentre accosta il braccio “inaridito” alla culla del Bambino (Protovangelo di Giacomo, XX,1) ed è la più antica rappresentazione conosciuta di questa scena.

da Antonio Bosio, Roma sotterranea, 1632
 
Sul lato destro della parete di fondo era rappresentata la Crocefissione di cui oggi è visibile solo un braccio della croce ed una figura maschile ai suoi piedi (2).

S.Giovanni

Nella descrizione di Bosio il Cristo indossava un lungo colobium ed alla sinistra della croce era raffigurata Maria con un braccio alzato in direzione del figlio mentre dalla parte opposta incedeva S.Giovanni con in mano il codice. Sullo sfondo era raffigurata Gerusalemme ed in alto il sole e la luna.
Il tratto della parete destra, contiguo alla scena della Crocifissione, ospita l’immagine di un santo vestito di un semplice pallio con sandali ai piedi. Nel XVI secolo doveva essere meglio conservato, dato che Bosio lo riproduce con volume e croce astile e ne trascrive pure l’iscrizione, oggi completamente perduta, con il nome S(AN)C(TV)S LAVRE[N]T[IVS].
La porzione destra della stessa parete conserva resti di un altro santo, oggi leggibile a fatica. Bosio lo descriveva come un santo martire, recante in mano una corona, della quale non resta traccia. In base alle campiture superstiti si può ipotizzare che il santo indossasse una dalmatica.

Note:

(1) Secondo una versione i resti di S.Valentino e S.Zenone – che sarebbero stati fratelli – furono fatti traslare da papa Pasquale I (817-824) nel sacello da lui fatto costruire nella chiesa di Santa Prassede per accogliere le spoglie della propria madre Teodora e dedicato a S.Zenone (cfr. cappella di S.Zenone). I due santi sarebbero raffigurati in un mosaico della cappella accanto al Cristo benedicente.

(2) Nel XVIII secolo il passaggio nella parete di fondo che dava accesso al livello inferiore fu ampliato, al fine di adibire la catacomba a cantina, determinando la perdita quasi completa della scena della Crocefissione.




mercoledì 19 settembre 2012

Il battistero lateranense


Il Battistero lateranense

Benché sia fantasiosa la narrazione del battesimo di Costantino amministrato dal papa Silvestro I (314-335) nel Laterano, si sa con certezza che l’imperatore volle personalmente che, tra il 320 e il 325, a fianco della basilica sorgesse il monumentale battistero.
La leggenda del battesimo di Costantino è raffigurata all’interno del battistero stesso, nel bassorilievo in bronzo del XVII secolo posto sulla vasca battesimale come rovescio del battesimo di Cristo nel Giordano, come anche negli affreschi del transetto della basilica lateranense.
Costantino ricevette in realtà il battesimo solo in punto di morte, nell’anno 337, ricevendo il sacramento per mano del vescovo Eusebio di Nicomedia.


Il battistero lateranense appare come una derivazione di costruzioni romane a pianta centrale, spesso con cupola; per la sua realizzazione si ricorse all’adattamento del nymphaeum dell’area termale esistente in loco, appartenente alla Domus Faustae, di forma circolare con nicchie affiancate da grandi colonne, come hanno mostrato gli scavi del 1925 e del 1929.
La costruzione fu successivamente rimaneggiata nel V secolo da papa Sisto III (432- 440) al quale si deve la pianta ottagonale che ancora esiste. L’ottagono richiama simbolicamente la Pasqua, l’ottavo giorno, in cui trova definitiva realizzazione la redenzione, come compimento del primo giorno, quello della creazione.



Varcata la soglia dell’attuale ingresso verso la piazza, l’interno del battistero appare subito nel suo insieme, mostrando in terra il grande stemma con le api del casato di Urbano VIII Barberini (1623-1644) cui si devono gli affreschi ancora visibili.
Il battistero presenta intorno al fonte battesimale, dove i catecumeni erano battezzati per immersione, otto colonne con capitelli ionici e corinzi alternati, le quali lo isolano dal deambulatorio, il corridoio circolare più esterno. Il raccordo tra le parti è ottenuto con un soffitto in legno policromo con fregi, simboli e quattro figure intagliate: Gesù Salvatore, la beata Vergine Assunta, San Giovanni Battista e San Giovanni evangelista.

Diverse cappelle circondano il magnifico monumento battesimale.

Le Cappelle di San Giovanni Evangelista e di San Giovanni Battista furono edificate alla fine del secolo V da papa Ilaro (461- 468), come ringraziamento ai due santi per lo scampato pericolo corso durante il II concilio di Efeso del 449, manovrato dal monaco monofisita Eutiche. L’architrave di ingresso della cappella dedicata a San Giovanni reca l’iscrizione dedicatoria: "Al suo liberatore il beato Giovanni evangelista, Ilaro, servo di Dio", e la citazione giovannea: "Diligite alterutrum (amatevi gli uni gli altri)".
Ilaro, diacono, era stato inviato dal papa Leone I Magno come suo delegato al Concilio di Efeso del 449 per contrastare le tesi del monaco Eutiche. Quest’ultimo negava la duplice natura del Cristo (umana e divina) e affermava che Cristo non è consustanziale con l’umanità, ma che, una volta avvenuta l’incarnazione, permaneva soltanto la sua natura divina che assorbiva quella umana (eresia monofisita). Il cosiddetto
latrocinio di Efeso, secondo la definizione datane da papa Leone I, sembrò segnare la vittoria della posizione monofisita di Eutiche che l'imperatore Teodosio II volle fosse recepita dal Codice teodosiano. Due anni dopo il concilio di Calcedonia (451) voluto dal nuovo imperatore Marciano confutò la posizione monofisita, perché negava la reale umanità di Cristo, ed affermò la presenza nella sua persona delle due nature (umana e divina), integre e complete, senza mescolanza, trasformazione, separazione o divisione. Succeduto a Leone I, papa Ilaro costruì appunto le cappelle del battistero lateranense.

La Cappella di S. Venanzio, iniziata da papa Giovanni IV Dalmata (640-642) e completata dal suo successore papa Teodoro I (642-649), fu pensata per accogliere le reliquie dei martiri dalmati, tra cui quelle di Venanzio, vescovo di Dumno e Domnione (o Domnio) vescovo di Salona, che il papa fece traslare a Roma per sottrarle alle scorrerie degli Avari.


Il mosaico del catino absidale ha al centro la figura del Cristo benedicente fiancheggiato da due angeli mentre nel registro più basso è rappresentata la sua Chiesa con al centro la Vergine orante (cfr. il mosaico absidale della chiesa cipriota della Panagia Kyra), a destra San Pietro con l’asta crociata, San Giovanni Battista, il vescovo Domnione, Papa Giovanni IV (senza nimbo); a sinistra San Paolo con il libro in mano, San Giovanni evangelista, San Venanzio e papa Teodoro I (anch'egli senza nimbo) che offre il modello della chiesa.
Sull'arco, entro quattro pannelli fra le finestre sono i simboli degli evangelisti e le città di Betlemme e Gerusalemme turrite e gemmate, e in due riquadri laterali, posti all'altezza del catino, 8 martiri dalmati che subirono il martirio insieme a San Domnione a Salona nel 304 durante le ultime persecuzioni di Diocleziano, e cioè a destra il vescovo Mauro, il diacono Settimio, Antiochiano, e Gaiano;


a sinistra Anastasio, il monaco Asterio, Tellio e Paoliniano.


 È la Chiesa intera, celeste e terrestre che prega il suo Signore.

Secondo l'analisi di Matthiae, il punto di partenza nell'elaborazione iconografica della composizione fu il tema dell'Ascensione, secondo la sua formula più generale. Ciò risulterebbe dalla struttura compositiva con la partizione in due zone e l'asse verticale costituito dal Cristo e da Maria orante; le varianti introdotte furono però così vaste da alterare interamente il significato della rappresentazione.
Nella zona inferiore furono conservati la Madonna ed i principi degli apostoli posti lateralmente secondo la consuetudine, e per il resto continuò ad essere determinante, come nel secolo VI, l'azione normativa del mosaico dei SS. Cosma e Damiano, nel quale la teofania si unisce alla esaltazione dei martiri titolari e di altri il cui culto fosse topograficamente legato all'oratorio.
I due Giovanni – il Battista e l'Evangelista - entrano nella composizione perché a loro erano dedicate le due cappelle costruite da papa Ilaro, i vescovi Domnione e Venanzio sono i “titolari” dell'oratorio, che ne accoglie le reliquie; le circostanze costruttive consentono di affiancare poi i papi Giovanni IV e Teodoro I, equivalenti di pari rango come nel mosaico di S. Agnese. Scomparso fra loro ogni legame ideale e compositivo, i gruppi si risolvono in una successione di figure isolate, rigidamente frontali secondo la formula orientale.

Ingresso originario


Nell’originario ingresso del battistero, il pronao biabsidato con le due colonne di porfido, trova invece posto la Cappella dei santi martiri Cipriano e Giustina con un mosaico del secolo V a racemi, con un emiciclo con l’Agnello, quattro colombe e piccole croci gemmate, e la Cappella delle Sante vergini Rufina e Seconda martirizzate durante la persecuzione di Valeriano (253-260).








domenica 9 settembre 2012

La cappella di S.Aquilino, Milano

La cappella di S.Aquilino nella basilica di S.Lorenzo a Milano



La basilica di S.Lorenzo colpisce sia per l’elaborata planimetria a tetraconco, ampiamente diffusa in area egea e mediorientale, ma assai rara nell’Occidente latino, sia per i numerosi problemi posti dalla sua cronologia e dalla sua funzione originale. Questo nonostante che molte parti del suo articolato complesso siano ancora conservate.
Il termine post quem per la fondazione della chiesa e dei suoi corpi annessi è dato dal reimpiego per le fondazioni dei blocchi dell’anello esterno del non lontano anfiteatro, verosimilmente demolito nel 401 all’approssimarsi dei Goti di Alarico, che avrebbero tenuto sotto assedio Milano per mesi: il loro uso per creare una vasta platea di fondazione soprattutto per la cappella di S. Aquilino – parte del progetto originale forse come mausoleo imperiale – permette di collocare la fondazione nel decennio successivo al 401, forse ad opera della committenza di
Stilicone (giustiziato a Ravenna nel 408, per ordine dello stesso imperatore Onorio: la damnatio memoriae che colpì il suo nome potrebbe spiegare la perdita del ricordo di un suo ruolo nella fondazione di questa chiesa, citata già da fonti scritte della fine del V secolo, ma che tacciono il nome del suo fondatore).
L'edificio compare per la prima volta nelle fonti scritte in relazione alla sepoltura al suo interno del vescovo milanese Eusebio I (morto nel 452), il che significa che a quella data la chiesa doveva essere stata terminata e consacrata. È noto dalle fonti scritte che una delle tre cappelle ottagonali annesse, quella di S. Sisto (lato nord della chiesa) fu costruita dal vescovo Lorenzo I, alla fine del V secolo, ma anche in questo caso l’edificio avrebbe potuto essere compreso nel progetto originario; infine, proprio in seguito alle recenti indagini sulle murature antiche, l’esame del carbonio 14 ha permesso di individuare mattoni della prima età longobarda nelle pareti di S. Aquilino.
La chiesa era preceduta da un vasto quadriportico, la cui superficie eguagliava quasi quella della basilica. I pochissimi avanzi, rintracciati a livello di fondazioni, hanno permesso di ricostruirlo come porticato su quattro lati, e dotato di esedre terminali sul lato adiacente alla facciata, che davano maggiormente risalto a questo spazio. Lungo la strada, un colonnato architravato fungeva da prospetto monumentale, con ingresso unico al centro sottolineato da un arco fra le colonne mediane (il loro intercolumnio è maggiore), soluzione glorificante che imitava i prospetti palatini di Spalato e Ravenna, il che avvalora ulteriormente l’ipotesi di un committente imperiale o strettamente legato alla corte. Le sedici colonne corinzie, con fusti scanalati e rudentati, sono in marmo di Musso e risalgono al II secolo, esattamente come gli architravi: si tratta di spoglie omogenee, probabilmente ricavate da un edificio civile di Mediolanum. Le aggiunte in mattoni sopra gli architravi appartengono alla fase basso medievale della chiesa: in origine, un attico e un timpano sempre in marmo dovevano completare la parte terminale della struttura. Avancorpi in muratura inquadravano ai lati questo prospetto.
La chiesa vera e propria, a pianta tetraconca, costituiva il centro del complesso. L'elaborata struttura del corpo centrale è leggibile nelle fondazioni, messe in luce negli anni Trenta: quattro torri angolari quadrate, disposte ai vertici di un quadrilatero, sono collegate da quattro esedre semicircolari dotate di un ambulacro interno a due piani. Lo spazio risultava quindi divisi in un vano centrale e in un ambulacro continuo (le quattro basi delle torri erano percorribili attraverso arcate), separati in origine da colonne (tutte sostituite nel XVII secolo) e da pilastri in muratura; anche la galleria al primo piano doveva essere aperta mediante colonnati, ma anche in questo caso tutti i sostegni risalgono al periodo barocco. Le più recenti indagini strutturali hanno definitivamente permesso di risolvere la dibattuta questione delle coperture originarie: le quattro esedre erano coperte da semicatini in muratura, mentre lo spazio quadrato centrale da una vasta volta a crociera, sempre in muratura: le tracce degli attacchi alle base delle quattro torri (che servivano appunto a contraffortare le spinte) non permettono ricostruzioni diverse della sua forma. Sappiamo dalle fonti che la chiesa fu danneggiata da incendi e terremoti nell’XI e XII secolo. Il Versum del Mediolano civitate, del 738, menziona lo splendore dei mosaici a fondo d’oro della cupola, e la lucentezza dei marmi dell’interno: le poche tessere i pochi frammenti di crustae marmoree recuperate negli scavi, assieme a qualche lacerto di pannello in stucco ancora alle pareti, permettono di farsi un’idea dello splendore interno dell’edificio: le ampie finestre ad arco che si aprivano nei muri esterni sicuramente inondavano questi spazi di luce naturale, esaltando lo splendore dei rivestimenti parietali. Un ultimo, interessante particolare costruttivo è dato dalla struttura esterna delle torri (una ancora interamente tardoantica), composte di blocchi sovrapposti leggermente rientranti, secondo un modello che trova esempi nella coeva architettura militare.
In asse su ciascuna esedra si addossano al corpo centrale tre sacelli ottagonali, sempre di origine paleocristiana e che ne completavano la struttura, anche se probabilmente avevano funzioni differenti.
La tradizione vuole che questa cappella fosse stata edificata da Galla Placidia perchè le servisse da sepoltura, è infatti anche detta cappella della Regina.
In origine era denominata cappella di S.Genesio in relazione alla antica tradizione milanese che Galla Placidia fosse la fondatrice del culto a questo santo.
La dedicazione a S.Aquilino avvenne infatti solo nel 1015, quando le sue ossa vi furono riposte subito dopo il suo martirio.

Sarcofago detto di Galla Placidia

La cappella
è stata costruita assieme all’atrio a forcipe che le fa da vestibolo entro la metà del V secolo, ma con una tecnica muraria in parte differente da quella della chiesa vera e propria: questo sarebbe indizio di una cronologia leggermente posteriore rispetto al tetraconco; ciò non significa che l’edificio non facesse parte del progetto originario, ma solo che difficoltà varie (probabilmente riconducibili alla situazione politica e militare del tempo) hanno rallentato e forse interrotto per un certo tempo l’attività del cantiere.
La funzione originaria doveva essere quella di mausoleo, forse imperiale, forse destinato a un membro della dinastia teodosiana: questa ipotesi potrebbe essere confermata dal materiale usato per i rivestimenti parietali, il porfido rosso, ora scomparso ma attestato da Giuliano da Sangallo (che definisce S. Aquilino “tuto di porfido”).
Al vestibolo si accede attraverso un sontuoso portale scolpito con motivi vegetali e scene di corsa nel circo, di età flavia, altro elemento che arricchiva questi spazi e ne accresceva il carattere monumentale.
Lo spazio interno dell’ottagono era scandito, nel livello inferiore, da nicchie alternatamente rettangolari e semicircolari, nel livello superiore da nicchie rettangolari finestrate e collegate da una galleria ricavata in spessore di muro.
La cupola a padiglione è in mattoni e ha i rinfianchi colmati di anfore annegate nella malta.
Le pareti del vestibolo erano ricoperte in basso di marmi, in alto di mosaici a fondo azzurro con teorie di personaggi biblici, apostoli e martiri su due livelli, inquadrati da paraste: ne restano scarsi resti, integrati da linee e profili sull’intonaco steso al momento della loro scoperta. Anche il sacello ottagono aveva pavimenti e pareti ricoperti da marmi colorati: dagli scarsi resti scoperti in una delle nicchie si è potuto ricostruire che i motivi decorativi erano di tipo geometrico.
Nei semicatini delle nicchie est ed ovest sopravvivono ampie tracce dei mosaici originari.
Il primo, meglio conservato, raffigura Cristo docente fra gli apostoli, Cristo è rappresentato imberbe con una mano benedicente e l'altra che tiene i rotoli delle leggi, rappresentati anche ai suoi piedi all'interno di una cesta. Gli Apostoli indossano gli abiti tipici dei Senatori romani, hanno pose molto naturalistiche e sono caratterizzati da volti diversi gli uni dagli altri. La figura del Cristo presenta molte affinità con quella del mosaico della chiesa di Hosios David a Tessalonica.


L'altra è una scena di difficile interpretazione (L'ascensione di Elia? Il Cristo/Sol invictus che risveglia i pastori?).


L’altissima qualità di questi mosaici, opera di maestranze di grande abilità, che hanno reso con spiccato senso naturalistico le figure e i paesaggi, fanno rimpiangere la perdita del resto del ciclo (che si estendeva anche alla cupola): in queste due raffigurazioni contrapposte sono state lette le metafore dell’alba (Cristo che risveglia i pastori) e del tramonto (immagine del paradiso). I confronti stilistici con i mosaici della basilica di S. Maria Maggiore a Roma (quarto decennio del V secolo), permettono di ipotizzare una cronologia entro il 450 circa.
Negli spazi della galleria al primo livello rimangono frammenti di affreschi raffiguranti tarsie di marmi colorati: sono coevi all’edificio, e sembrerebbero una soluzione “a risparmio” rispetto ai più costosi sectilia.

sabato 8 settembre 2012

Castello di Arta

Castello di Arta


La bassa collina su cui sorge il castello di Arta fu fortificata già nell'antichità. Nella sua attuale pianta trapezoidale – che non è stata mai modificata nel corso delle opere di rafforzamento succedutesi nel tempo – fu costruito sotto il despotato di Michele II (1230-1267) incorporando i resti delle antiche fortificazioni ancora visibili nella parte bassa delle mura dei lati orientale e settentrionale.


La cinta muraria è rinforzata da 18 torri di forma diversa giacchè risalgono a diversi periodi. In linea di massima le torri rettangolari e quelle semicircolari sono di epoca bizantina mentre quelle poligonali e triangolari appartengono molto probabilmente alla ristrutturazione voluta da Ali Pasha tra il XVIII ed il XIX secolo.

Bastione ottomano

In particolare, in corrispondenza dell'angolo sudovest (contrassegnato dal n.16 sulla mappa), si erge un forte bastione poligonale – fiancheggiato da due torri triangolari – che presenta nella parte alta la cornice arrotondata e le bombardiere tipiche delle fortezze veneziane e turche. Questo bastione protegge il fianco esterno della cittadella (Its-Kale) ed è sopravanzato da un antemurale. La cornice arrotondata, indice di un intervento in epoca ottomana, si nota anche sulla torre quadrata posta a guardia dell'ingresso principale. La torre con l'orologio, che s'intravede sullo sfondo dell'immagine sottostante, anch'essa di epoca ottomana, fu eretta invece soltanto nel 1875. 



 
L'ingresso principale visto dall'interno, a destra l'ingresso alla cittadella
 
All'interno del castello, nei pressi dell'hotel Xenia (C) - costruito negli anni Cinquanta del '900 ed oggi in disuso - si trovano i resti di un edificio bizantino (D) che misura circa 11x45 metri dalla muratura in opera cloisonnè che molto probabilmente è quanto rimane del palazzo dei Despoti.

Palazzo dei despoti


martedì 4 settembre 2012

San Demetrio Katsouri


San Demetrio Katsouri (Agios Dimitrios Katsouris)
nei pressi del villaggio di Plisi, 5 km a SO di Arta a sinistra della strada per Giannina.


Nella pianura a sud est di Arta si trova la chiesa di S.Demetrio Katsouri che fu un tempo il katholikon di un monastero del Patriarcato. L'origine del toponimo “Katsouris” è del tutto ignota.
Secondo Orlandos questa chiesa fu costruita inizialmente, nel X secolo, con una pianta basilicale a tre navate per essere trasformata nel XIII secolo in una pianta a croce greca inscritta sormontata da una cupola cilindrica.


L'alta cupola è sostenuta da quattro voluminosi ed irregolari pilastri. Tra i pilastri ed i muri ovest ed est ci sono delle doppie aperture inframmezzate da colonne di marmo. I colonnati che si vengono così a creare prolungano l'asse longitudinale della chiesa e le conferiscono un aspetto basilicale.
Secondo studi più recenti si tratterebbe quindi di un modello di transizione tra la pianta basilicale e quella a croce greca inscritta - uno dei cui primi esempi è la chiesa di Santa Sofia di Tessalonica - costruito nella prima metà del IX secolo.
L'assenza di decorazioni in mattoni, le proporzioni massiccie dell'edificio e l'alta cupola cilindrica che presenta numerose imperfezioni sono tutti elementi a sostegno di questa ipotesi.


L'esonartece venne aggiunto nel 1868 ed il campanile nel 1911.
Al di sopra della porta d'ingresso, l'icona di S.Demetrio.


Affreschi
Si tratta dei più antichi affreschi ritrovati nel circondario di Arta e possono essere distinti in due fasi, la prima riferibile ai primi del XIII secolo ed a cui appartengono:
- Le figure dei santi dipinte in posizione frontale nella conca absidale; la Comunione degli Apostoli dipinta sulle pareti nord e sud del bema, la gran parte della quale è però coperta dalla pittura di analogo soggetto realizzata alla fine del XIII secolo.

Abside, S.Biagio

- Gran parte delle pitture del diakonikon (Il Sacrificio di Abramo e Abramo che incontra i Tre angeli)
- le pitture della cupola in cui attorno alla figura del Pantokrator in condizioni frammentarie si organizzano due fascie sottostanti: una in cui sono raffigurati gli angeli in atteggiamento di proskinesis e l'altra in cui sono raffigurati 14 profeti a figura intera che tengono in mano lunghi cartigli.
Secondo alcuni studiosi il programma iconografico della cupola, fatto realizzare probabilmente dal metropolita di Naupaktos, Giovanni Apokauko, che fu responsabile del monastero fino al 1229, rifletterebbe le ambizioni imperiali dei Despoti d'Epiro, allora all'apogeo della loro potenza (nel 1224 Teodoro I Doukas Comneno aveva conquistato Tessalonica e si era fatto incoronare imperatore, cfr. Despotato d'Epiro, Introduzione).

La seconda fase della decorazione pittorica è invece riferibile all'ultimo quarto del XIII secolo, ad essa appartengono:
- La raffigurazione della Vergine blachernyotissa nel catino absidale, la Comunione degli Apostoli (sovrapposta a quella più antica) e l'Ascensione nelle pareti e nella volta del bema;

Abside, Vergine blachernyotissa

- L'Annunciazione sui pilastri orientali della cupola;
- L'Ingresso a Gerusalemme e l'Anastasis sulla volta settentrionale;
- La Pentecoste sulla volta ovest;

Volta ovest, Pentecoste

- La figura di Cristo nel catino del diakonikon e quella di S.Giovanni nel catino della prothesis.

Diakonikon, il Cristo risorto*

* E' questa la rappresentazione iconografica altrimenti detta del Cristo in altra forma, come apparve ai discepoli di Emmaus dopo la Resurrezione (Luca, 24, 13-33) cfr. J.Sanidopoulos, Icon of Christ in another form, 2010.




domenica 2 settembre 2012

Monastero della Kato Panagia


Monastero della Kato Panagia
1 km circa a sud di Arta, lungo la strada che conduce al villaggio di Glykorizo.


Costruito ai piedi del monte Perhanti venne detto della Kato Panagia (la Vergine bassa) probabilmente in relazione a quello della Panagia Parigoritissa che era costruito in un punto più elevato.
Fu fatto edificare dal despota Michele II Dukas Comneno tra il 1250 ed il 1270, come si evince dai monogrammi e dalle iscrizioni visibili sui muri esterni.


Dedicata alla Natività della Vergine, la chiesa monastica presenta una pianta basilicale a tre navate. La volta a botte della navata centrale è attraversata sulla crociera da una seconda botte trasversale, evidenziata esternamente, mentre la campata centrale è nettamente rialzata rispetto a quelle laterali. L'effetto è simile a quello di una pianta a croce greca inscritta senza cupola anche se il notevole rialzo della campata centrale (m.1.30) all'incrocio delle botti costituisce come un accenno di cupola. Questa tipologia architettonica viene correntemente definita stavrepistego.

lati sud e est

Ad est il bema è separato dai pastoforia da muri traforati da una bassa apertura ad arco che consente la comunicazione tra gli spazi, mentre ad ovest il nartece è individuato da due piccoli pilastri che aggettano dalle pareti laterali.
La muratura esterna è in opera cloisonnè. Le docorazioni in mattoni si presentano in varie combinazioni (meandri, doppie E, etc.) e si limitano alle absidi, ai timpani del braccio trasversale e al frontone occidentale.


lato meridionale

L'iscrizione sulla parete meridionale, tra i pilastri del braccio trasversale; in basso, sulla destra il monogramma di Michele II


La presenza di questa fascia decorativa di mattoni disposti a meandri nella muratura dell'abside, che ricorda la decorazione di alcune chiese del Peloponneso (cfr. La chiesa della Dormizione della Vergine a Merbaka), lascia supporre, come nel caso della chiesa di San Nicola di Rhodia, l'intervento di maestranze provenienti dalla Grecia meridionale. 


Affreschi

La gran parte della decorazione parietale risale al 1716, gli unici affreschi coevi alla fondazione della chiesa si trovano nel diakonikon.
Nell'absidiola è raffigurato il Cristo come L'Antico dei Giorni (1) ed al di sotto, ai lati della bifora, i Gerarchi in posizione frontale.


Nella parte settentrionale della volta Gesù dodicenne mentre si intrattiene nel tempio di Gerusalemme con i dottori della Legge.
Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa; (...) E avvenne che, tre giorni dopo, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, intento ad ascoltarli e a far loro domande. (Luca, 42-46).
Gesù siede sotto un largo baldacchino ed è reso in una scala maggiore rispetto ai dottori che gli siedono attorno.

Nella parte meridionale il sommo sacerdote Zaccaria rifiuta le offerte di Gioacchino ed Anna (Protovangelo di Giacomo, 2).

 
 
Note:
 
(1) L'espressione è usata dal profeta Daniele che così lo descrive: Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e l'Antico dei giorni si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana (Libro di Daniele, VII, 9). La visione di Daniele prosegue in questo modo: Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino all'Antico dei giorni e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano (VII, 13-14).
Daniele vede la figura di Dio come figlio d'uomo e Antico dei giorni, vecchio e giovane, acclamandolo come unico Signore (Romano il melode, Secondo libro sull'Epifania). Nell'iconografia l'immagine dell'Antico dei Giorni viene per solito riservata al Padre mentre quella dell'Emmanuele è riservata al Figlio.



sabato 1 settembre 2012

San Nicola di Rhodia

San Nicola di Rhodia (Agios Nikolaos tis Rhodias)
alla fine del villaggio di Kirkizates a 4 km da Arta.

facciata occidentale

E' detta San Nicola di Rhodia perchè dipendeva un tempo dal monastero della Panagia di Rhodia che si trova nei pressi del villaggio di Vigla. La chiesa rimase interrata per la gran parte fino al 1959 e compare per la prima volta nelle fonti scritte soltanto nel 1884.


La pianta è del tipo a croce greca iscritta a due colonne. La facciata orientale presenta un abside aggettante a tre lati mentre prothesis e diakonikon sono contenuti nello spessore della muratura.
Il naos è preceduto da nartece che presenta due volte a botte laterali intersecate da una centrale ortogonale che s'innalza al di sopra del livello del tetto. I bracci della croce sono voltati a botte mentre la cupola s'imposta su un tamburo ottagonale sostenuto ad ovest dalle due colonne e ad est dai muri che separano il bema dai pastoforia.
L'articolazione delle mura perimetrali e l'impostazione della cupola propendono per una datazione ai primi del XIII secolo, opera di maestrenze provenienti dalla Grecia meridionale.


La parte superiore della muratura mostra ad esempio su tre lati un'ampia fascia decorativa di mattoni disposti a meandro, che ritroviamo anche nella parte superiore dell'abside, che appare molto simile a quella della Dormizione della Vergine a Merbaka nel Peloponneso.
La cupola è traforata da quattro bifore.

In epoca più tarda la chiesa fu circondata su tre lati da un deambulatorio di cui oggi sono visibili solo le fondazioni.

Affreschi:
sono coevi alla fondazione della chiesa (primi del XIII secolo)

Abside:
Nel catino absidale, la Vergine platytera. Al di sotto il clero celebrante e sotto la finestra il mandylion. Sulle pareti del bema, meglio conservata, la Comunione degli Apostoli. Nella volta, L'Ascensione. Sui pilastri orientali, l'Annunciazione.

Abside

La Comunione degli Apostoli, parete settentrionale del bema

Prothesis: nel catino, la figura dell'Arcangelo Michele molto danneggiata; nella lunetta sovrastante la Presentazione di Maria al Tempio. In questa scena Maria è dipinta anche seduta sulla destra mentre riceve il cibo offerto dall'angelo (E Maria viveva nel tempio del Signore come una colomba e riceveva il cibo dalla mano di un angelo, Protovangelo di Giacomo, VIII, 1). Sulla sinistra, sullo sfondo, si nota invece un alto edificio con una decorazione pseudocufica.

Presentazione di Maria al tempio

Diakonikon: nel catino l'Arcangelo Gabriele, sopra di lui il Cristo raffigurato come l'Antico dei Giorni (la raffigurazione del Cristo come un uomo anziano, con barba e capelli bianchi, simboleggia nell'iconografia bizantina la sua eternità)

L'Antico dei Giorni