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giovedì 3 novembre 2011

Statua dei Tetrarchi, Venezia

Statua dei Tetrarchi


Descrizione
Quattro figure in altorilievo, poste sui due lati dell’angolo del Tesoro di S.Marco, numerate da 1 a 4, dalla chiesa verso palazzo Ducale.
Porfido rosso egiziano.
Altezza delle figure cm 136, delle teste cm 17-17,5, delle basi cm 24; larghezza della basi
cm 78,5, profondità delle basi ai lati cm 29-32, al centro cm 16.

Stato di conservazione
Le statue, più piccole del naturale, sono poste su mensole modanate che sporgevano da due colonne di circa cm 40 di raggio.
La coppia 3-4 è conservata frammentariamente, essendo stata tagliata in tre pezzi (all’atto del prelievo), di cui sono stati qui reimpiegati solo quello centrale( largo cm 22) e quello destro.
Il piede e la caviglia con tutta la relativa porzione di base del n. 4 sono stati integrati con un altro materiale (un porfido rosato) all’atto della messa in opera, visto che la porzione originale si era staccata verosimilmente durante lo smontaggio.
Le parti delle colonne che costituiscono lo sfondo sono state ritagliate attorno alle figure; rimane solo una piccola porzione a sinistra della testa del n.1 e sopra i copricapi della coppia nn.1-2.
Le due coppie sono sistemate in modo che il retro della nn.1-2 si giustappone alla figura n.3: qui si può vedere che i tagli sono stati operati con perfetta regolarità.
Il mantello del n. 1 era stato probabilmente integrato in un antico restauro lungo il margine sinistro con uno o due pezzi aggiunti: queste parti sono oggi mancanti e vi si notano due fori verosimilmente per i perni. Così anche l’incavo triangolare al posto del naso del naso n. 3 può essere interpretato come traccia di un’antica integrazione.
Bisogna pensare che questi pezzi rimasero esposti già a Bisanzio per quasi mille anni.
Mancanze 1: Danni all’orecchio destro, naso in gran parte mancante, minore lacuna sul copricapo, lacuna sul mantello all’altezza della spalla e lungo il margine.
Mancanze 2: Lacuna sulla mano sinistra (sopra le prime due dita); minori lacune sull’orecchio sinistro e la superficie del naso, sul mento e sul sopracciglio sinistro, sulla spalla.
Rottura di andamento all’incirca verticale lungo il manto.
Mancanze 3: perdita di immagine lungo i tagli, specie sulla spalla e lungo le pieghe del manto parallele alla spada.
Danneggiata parte della superficie del volto e del copricapo.
La parte bassa con il piede è separata da una spaccatura.
Mancanze 4: Manca la parte superiore del copricapo, danneggiato il naso, l’orecchio sinistro e il bordo del mantello.
La superficie dei quattro rilievi è generalmente levigata, si notano alcune parti lasciate intenzionalmente grezze: gli sfondi fra le figure presentano puntinatura di scalpello a vista; le
barbe (nn.1e 3) sono solo accennata da rigatura.

***
   Il ritrovamento del piede mancante negli scavi condotti nell’area del Myrelaion a Costantinopoli – a livello di un edificio risalente al 450 (Palazzo di Arcadia, sorella di Teodosio II) – non distante dal Philadelphion sembra confermare questa provenienza.

Frammento del piede, Museo archeologico, Istanbul

Si tratta di due coppie formate da un Augusto (barbuto) e un Cesare (glabro) che si abbracciano. Rimane il dubbio se si tratti della prima Tetrarchia (Diocleziano, Massimiano, Galerio e Costanzo Cloro), nel qual caso il gruppo proverrebbe da Nicomedia e sarebbe stato portato qui da Costantino; o della raffigurazione dei  figli di Costantino il grande (Costantino, Costante, Costanzo) ed il nipote Delmazio, nominati cesari da Costantino negli ultimi anni del suo regno, nel qual caso sarebbe stata fatta realizzare da Costantino stesso.

* Una leggenda popolare vuole invece che questa scultura sia quella di quattro ladroni sorpresi dal Santo della basilica intenti a rubare il suo tesoro custodito all'interno e che furono da esso pietrificati e successivamente murati di fianco alla Porta della Carta dai veneziani, proprio all'angolo del Tesoro.
Il ritrovamento del frammento a Costantinopoli consente comunque di escludere la provenienza acritana del gruppo, sostenuta in passato da alcuni autori.
Rimane da chiarire come si sia creato il curioso equivoco della provenienza del gruppo da Acri.
Le cronache quattrocentesche affermano giustamente che i Veneziani dopo la quarta crociata portarono da Costantinopoli molte ‘tavole’ di marmo e porfido, ma non parlano delle opere di scultura.
Dopo l’impresa di Acri nel 1258, i veneziani dopo aver lasciato la città ai genovesi dicono gli storici ed i cronisti, portarono via pietre del castello della Monzoia, senza menzionare alcuna opera artistica.
Il Tigler si chiede allora se la data del 1258 dell’impresa di Acri non possa essere stata confusa, dai cronisti col contemporaneo arrivo di questo gruppo di opere da Bisanzio, dove la situazione stava incominciando a diventare pericolosa, per i tentativi di restaurazione dell’ impero bizantino, che poi avranno successo nel 1261.
Dunque il Tigler come d’altronde il Polacco ritengono che il gruppo dei Tetrarchi sia arrivato a Venezia nel 1258.


Altre ipotesi
- Delbrùck ha avanzato l’ipotesi, nata dalla constatazione del largo uso della policromia nella scultura di età imperiale, che gran parte delle figure fosse in origine colorata e dorata (capelli, barbe, pietre preziose delle cinture, spade, scarpe, loriche.)
Il Tigler non ha trovato nessuna traccia di policromia sulle quattro figure, ma concorda con il Delbruck nell’interpretazione dei fori quadrangolari sui berretti in funzione di serti di metallo dorato (e non di gemme o di vetri come sostenuto da altri, anche perché il berretto del n.1 ha un foro anche sul retro, e le pietre preziose avrebbero avuto senso solo davanti.)

- Girolamo Maggi nelle sue Miscelanee, pubblicate a Venezia nel 1564, cerca di provare con molto sfoggio di erudizione che quelle statue rappresentano Armodio e Aristogitone, gli uccisori del tiranno Ipparco, e che furono poste in quell’angolo per rammentare ai Veneziani, che si radunavano giornalmente nell’atrio e nel palazzo, il dovere morale di distruggere la tirannide e onorare gli uccisori dei tiranni.
La notizia venne ripresa da Cesare Vecelio, che con una espressione quanto mai generica dice “constare solum a Grecia statuas Hasce esse advectas et nihil praeterca".

- Emanuele Cicogna, restituito il trasporto dei pilastri acritani al 1258, dissocia da questi i gruppi porfirei e li suppone provenienti da Costantinopoli nel 1204, insieme con tutte le spoglie della Quarta crociata, datandoli in età costantiniana per alcuni particolari archeologici fra le quali la forma del saluto. Lo stesso studioso ipotizzò che le figure non fossero state fatte per Costantinopoli, ma che vi fossero state portate da Nicomedia, sulla scorta di un paesaggio dei Patria, che amplia le notizie della Parastaseis, le quali parlano di qualche scultura dell’Ippodromo portata a Costantinopoli da Nicomedia e da altre città microasiatiche e greche.
Si tratterebbe dei primi tetrarchi, cioè degli Augusti Diocleziano e Massimiano e dei Cesari Galerio e Costanzo Cloro, in questo caso le colonne dalle quali vennero ritagliati i rilievi sarebbero state realizzate per la residenza imperiale di Diocleziano a Nicomedia e poi portate a Costantinopoli da Costantino.

- Il Saccardo nel 1887 assegna i rilievi alla prima metà del IV secolo.
Concorrono a favore di quest’ultima ipotesi più argomentazioni, tra le quali il fatto che il porfido venne molto amato da Diocleziano e dai suoi immediati successori, nel momento in cui venne considerato uno status symbol imperiale, mentre l’abbracciarsi venne introdotto al posto del saluto romano solo al tempo di Costantino.
Lo stesso Saccardo nota giustamente la similitudine con le colonne di porfido della biblioteca vaticana, sulle quali si trovano rilievi su mensole di coppie di imperatori che si abbracciano, giungendo alla conclusione che si tratti di Costantino con i figli.

- Nel 1902 Strzygowsky, in aperta polemica con Riegl, cita i tetrarchi insieme ad altre opere in porfido della tarda antichità - il cosiddetto sarcofago di S.Elena e quello di S.Costanza entrambi conservati oggi nel museo Pio-Clementino in Vaticano - quale prova della sua ipotesi dell’importanza nella tarda antichità dei vecchi centri artistici orientali in questo caso l’Egitto.
I caratteri stilistici di astrazione anticlassica e di fissità geometrizzante notati dal Riegl sono ricondotti dallo Strygowisky a precisi influssi orientali, “provenienti cioè da civiltà che sarebbero rimaste profondamente estranee al classicismo e naturalismo greco romano”.
Come è attestato dai vari ritrovamenti archeologici e dalle fonti letterarie, il porfido veniva lavorato principalmente in Egitto, sia presso le cave del Mons Phorpiteres (deserto orientale) che ad Alessandria.
A testimoniare questa osservazione Strzygowski cita un busto presente al museo del Cairo, molto vicino allo stile dei tetrarchi.
Lo studioso che ritiene i tetrarchi provenienti da Acri, nota anche in particolari dell’abbigliamento caratteri propriamente orientali (siriaci e egiziani): le impugnature delle spade sarebbero di tipo egiziano,  i berretti cilindrici e bassi sarebbero del tipo attestato a Palmyra in Siria, anche nelle scarpe nota una foggia orientale.
Lo stesso taglio dei capelli corti e a casco si ritroverebbero anche in altre sculture in porfido della stessa epoca, mentre gli stessi tratti somatici finirono con l'essere definiti egiziani.

- Delbruck accetta con moderazione l’ipotesi del Strzygowsky di un monopolio egiziano della lavorazione del porfido, ritenendo infatti che per i ritratti imperiali fosse essenziale la stretta adesione alle direttive della corte, forse mediate da precisi disegni, ritenendo perciò improbabile che tali ritratti siano stati eseguiti nel lontano Egitto.
L’idea più debole del Delbruck è quella del preteso ritrattismo di queste opere: “infatti la difficoltà di identificare i personaggi è motivata dall’assenza di ogni precisa caratterizzazione individuale, sono i vestiari e gli attributi che permettono di stabilire che si tratti di imperatori, mentre il carattere accigliato, autoritario, militare e rozzo, esprime una concezione del potere che va al di là delle singole personalità dei vari ritrattati.”
Sia Delbruck che Strygowisky prendono in considerazione la possibilità che centri di produzione siano stati Nicomedia, capitale tetrarchica o Antiochia.

- Il Verzone nel 1958 porta a sostegno dell’ipotesi costantinopolitana un elemento già noto agli studiosi precedenti, e cioè la straordinaria affinità con i ‘Tetrarchi’ veneziani di un torso del museo ottomano di Instanbul, ritrovato nel 1875 presso la teodosiana porta aurea di Costantinopoli.
“Il torso è di marmo, il che dimostrerebbe che questo stile non era limitato al porfido”.
L’idea ancora presente nello studio di Strzygowiski, di un condizionamento dello stile da parte del materiale e della tecnica, sembrerebbe dover essere rivista e riformulata.
Secondo lo stesso studioso le due coppie veneziane in cui rispettivamente un uomo barbuto abbraccia un glabro, raffigurerebbero due volte le stesse persone, cioè Costanzo Cloro che trasmette l’impero a Costantino, “si daterebbe perciò fra il il 330 data della fondazione ufficiale di Costantinopoli, ed il 337 quando Costantino morì”.

- L’Orange nel 1965 riconduce all’età di Diocleziano tanto la moda quanto il taglio di capelli e
la barba corta dei rilievi.
“Il berretto di tipo militaristico è caratteristico del look di Diocleziano (che lo indossa in due busti ritratto di Salona), e viene indossato dai carnefici in affreschi di catacombe cristiane.”
Lo stesso studioso nota che secondo alcuni storici bizantini, tra i quali Kodinos, Costantino portò da Nicomedia a Costantinopoli varie sculture; non sarebbe quindi da escludere che i Tetrarchi possano provenire da Nicomedia.

Nel 1965-66 gli scavi condotti da archeologi turchi e tedeschi presso la chiesa di Myrelaion ad Instanbul portarono al ritrovamento del frammento dei Tetrarchi mancante a Venezia, ed esattamente del piede e della mensola di base del n.4 (l'ultimo verso la Porta della carta).
Ciò confermerebbe l’ipotesi del Verzone di una provenienza del gruppo dal Philadelpion, dato che questa piazza non si troverebbe lontana dal Myrelayion.
Il ritrovamento elimina l’ipotesi che i gruppi provenissero da S. Giovanni d’Acri, rivalutando la vecchia indagine di E. Cicogna per la quale si era affermata la loro provenienza costantinopolitana con le spoglie della quarta crociata.
"Il frammento venne trovato in una rotonda, connessa con altri ambienti che la dimostrano parte di un palazzo, il quale per la tecnica costruttiva è databile intorno o poco prima della metà del V secolo, mentre la parte decorativa sembra potersi collocare dopo il 450".
L’editore Naumann, osserva come in questa zona vi fosse situato il palazzo di Arcadia, sorella di Teodosio II, ed è forse proprio qui che si trovava la sala rotonda, anche se lo stesso studioso non è del tutto alieno dal pensare che il tutto appartenesse al Capitolium ove nel 425 aveva sede l’università.
Naumann propende per l’ipotesi di Verzone, che nel gruppo porfireo vede i figli di Costantino abbracciati, posti originariamente come ornamento nel Philadelphion.
Il frammento rinvenuto potrebbe essere finito nella rotonda casualmente, dato che questa non dista neanche molto dal Philadelphion stesso.
“Sicuro è che i Tetrarchi giunsero a Venezia da Costantinopoli, sicuro è che il frammento con il piede è stato ritrovato presso la soglia della porta della scala NE di accesso alla cupola della rotonda, la quale sarebbe appartenuta ad un complesso edificio costruito intorno o poco prima del 450, su cui fu poi costruito nel X secolo il palazzo di Romano I Lecapeno, dove più tardi si situò il Myrelaion.”
È da notare che il frammento è stato trovato nello strato che fu poi sigillato dalle costruzioni del X secolo, le quali non hanno portato materiale estraneo di riempimento, ma hanno, al contrario, distrutto e asportato quanto era caduto dall’alto dell’edificio del V secolo e di conseguenza ne hanno abbassato il livello pavimentale di qualche metro.
Dunque il frammento porfireo apparterebbe al palazzo del V secolo, e soprattutto niente ci dice che sia stato portato dall’esterno o da Nicomedia, dunque i Tetrarchi originariamente si trovavano nel palazzo che Naumann dice di Arcadia.
“Perciò le figure imperiali furono scolpite espressamente per il palazzo di Arcadia, così come non si può pensare che la parte ‘veneziana’ fosse disgiunta da quella costantinopolitana.”

- L’ultimo studioso che si è occupato a fondo dei Tetrarchi è l’Orange nel 1984.
“Il principio della tetrarchia - secondo lo studioso - avrebbe impedito un abbraccio fraterno fra un Augusto e un Cesare", si tratterebbe invece di una coppia più anziana di ‘Augusti’ (nn.3-4) e di una coppia più giovane di Cesari; “la combinazione obbedirebbe all’intento politico di affermare l’unione fra Occidente e Oriente dell’impero”.
Il Tigler non trova del tutto convincente questa ipotesi, apparendo in contraddizione con l’osservazione molto più convincente che i personaggi barbati debbano essere considerati di maggiore autorità rispetto a quelli glabri.
Dallo studio dell’Orange si apprende un elemento prezioso, un frammento di rilievo dello stesso tipo del gruppo di Venezia, una testa di porfido alta cm 17 con berretto militare dello stesso genere di quelli dei tetrarchi si troverebbe a Nis in Serbia.
Questa città è il luogo natale di Costantino, si potrebbe dunque immaginare che lo stesso imperatore di origini dubbie e che era arrivato al potere in modo illegittimo, proprio con un colpo di stato contro il sistema tetrarchico, avesse voluto professare pubblicamente la corretta discendenza del suo impero dalla prima tetrarchia.





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