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sabato 8 ottobre 2011

Famagosta, l'assedio

Assedio di Famagosta (22 settembre 1570 – 4 agosto 1571)

Il morbo infuria, il pan ci manca
sul ponte sventola bandiera bianca
(A.Fusinato, L'ultima ora di Venezia)

cerchia di Alessandro Vittoria (1525-1608), Busto di Marcantonio Bragadin
chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, Venezia, XVI secolo.

Comandanti veneziani:

Marcantonio Bragadin, Capitano generale di Famagosta.
Astorre Baglioni, comandante militare della piazza di Famagosta.
Alvise Martinengo, comanda la difesa del Rivellino.
Piero di Mont’Alberto, comanda il forte Moratto.
Lorenzo Tiepolo, Capitano di Paphos.

11 settembre 1570 Mustafa Lala Pascià*, comandante delle forze ottomane, fa recapitare a Bragadin la testa di Niccolò Dandolo, luogotenente di Nicosia, insieme ad una richiesta di resa.
22 settembre 1570 il blocco di Famagosta è completo**.
26 settembre cominciano i bombardamenti.
6 ottobre La contessa Amalda da Rocas dà fuoco alla santabarbara della nave che doveva condurla schiava a Costantinopoli insieme ad altre donne catturate a Nicosia. Secondo altra versione questo episodio è attribuito a una nobildonna veneziana di nome Belisandra Maraviglia, vedova di Pietro Albini, il cancelliere di Cipro, ucciso durante l'assedio e sorella di Giovanni, segretario del Senato veneziano.

Sala degli imperatori, Palazzo Regazzoni, Sacile, XVI secolo.


L'affresco appartiene forse alla scuola di Paolo Veronese (1528-1588), poiché i colori usati sono luminosi ed ariosi, privi di timbri scuri e di scontri cromatici.
Una sfera coinvolge la parte finale del timpano e una parte del comparto sovrastante, nascondendo, così, una frazione importante degli eventi narrati.
Sappiamo con certezza che si tratta dei momenti precedenti l'esplosione della santabarbara della nave ottomana. A sinistra un paio di soldati guardano preoccupati verso il fuoco e intorno al fuoco le donne, tra cui una vista di schiena con le braccia allargate, sono una presenza inquietante.
Nello spazio intorno alla sfera viene narrata la ribellione e la tragica fine delle donne di Nicosia.
 I Turchi, dopo la resa della città, si abbandonarono a saccheggi e violenze di ogni tipo, catturarono le donne e le caricarono su tre navi per venderle nei mercati orientali. Tutte le donne, nobili e popolane, di comune accordo, decisero di provocare un incendio in prossimità del deposito delle munizioni e di far esplodere le navi piuttosto che condurre il resto della propria esistenza in schiavitù.
Le tre navi furono distrutte e tutte le donne perirono assieme ai loro aguzzini.

7 ottobre Arrivo di una fregata al comando di Fassidonio Candioto con notizie della flotta.
24 gennaio una flottiglia di 13 galee e 4 navi da trasporto al comando di Marco Querini forza il blocco e sbarca 1700 uomini e 150 cannoni, viveri e munizioni al comando del capitano Alvise Martinengo. Querini consegna a Bragadin anche alcuni prigionieri turchi catturati sulla via del pellegrinaggio alla Mecca.
Fortemente irritato da questo episodio, il sultano Selim II rimuove l'ammiraglio Piyale Pascià dal comando della flotta e lo sostituisce con Müezzinzade Alì Pascià.
19 maggio comincia il cannoneggiamento praticamente ininterrotto che durerà 72 giorni.
22 maggio Arrivo di una fregata (probabilmente sempre al comando di Fassidonio). Il Bragadin invia una disperata richiesta di aiuto.
21 giugno una mina apre una breccia nel bastione dell’Arsenale (Dijambulat). Sei assalti generali in cinque ore vengono ricacciati.
22 giugno Arrivo di una fregata che annuncia il prossimo arrivo di soccorsi.
29 giugno una mina apre un’altra breccia nel Rivellino. In sette ore i difensori respingono sei assalti generali.
9 luglio il capitano Roberto Malvezzi, per fermare l’assalto dei turchi, dà fuoco alla santabarbara del Rivellino. Con lui saltano in aria 300 fanti veneziani.
14 luglio nuovo furioso assalto al Rivellino. Baglioni ne fà saltare il fianco sinistro che era ancora in piedi e vi seppellisce i turchi.
17 luglio Ordine del Bragadin di murare le porte.
19 luglio ultimo rapporto del Bragadin al governo della Repubblica, trasmesso da una fregata inviata a Candia.
29-31 luglio attacco generale che dura ininterrotto per 48 ore. La sera del 31 una mina fa saltare il bastione dell’Arsenale, muore anche il figlio di Mustafà Lala (Siliato).
1 agosto viene inviata dai turchi la proposta di pace
4 agosto Baglioni firma la capitolazione e i turchi entrano in città.

* "Lala" in turco significa guardiano. Il vizir portava questo soprannome perchè era stato il tutore del sultano Selim II (1566-1574).
** In realtà i turchi non riuscirono mai a bloccare del tutto il porto. Navi veneziane vi entrarono e uscirono praticamente fino alla fine.

Bisante in rame fatto coniare a Famagosta da Bragadin durante l'assedio. Sul rovescio è inciso il motto: "Venetoru(m) Fides Inviolabilis" 


Famagosta è difesa da settemila uomini e da 500 bocche da fuoco. Le fortificazioni, opera del celebre architetto Girolamo Sammicheli (1550-1559), sono frutto delle più avanzate concezioni belliche (cfr. la voce Famagosta).
Per spaventare i difensori Mustafà Pascià invia a Famagosta, racchiusa in una cesta, la testa del governatore di Nicosia, Niccolò Dandolo. Ma il Capitano Generale di Famagosta, Marcantonio Bragadin, di antico e nobile casato veneziano, non s’impressiona, respinge ogni intimazione di resa e dà tutte le disposizioni necessarie per quella lunga ed eroica resistenza “che resterà sempre monumento di gloria negli annali militari”. Bragadin ed i suoi uomini sono convinti che Venezia non li lascerà in balia del turco e che, prima o poi, arriveranno i sospirati e promessi soccorsi.

  Un esercito di 200 mila uomini l’assedia per via terra, una flotta di 150 navi per via mare. I turchi hanno completato l’accerchiamento della città fino ad un tiro di cannone. Sulle alture circostanti millecinquecento cannoni ed alcuni obici giganteschi tengono sotto il loro micidiale tiro sia la fortezza che i quartieri cittadini; invano i veneziani cercano di salvare i piu’ importanti monumenti e le chiese, ricorrendo a “travate di sostegno e cumuli di sacchetti di sabbia”: tutto crolla o brucia irrimediabilmente e la popolazione, terrorizzata, si rifugia nella fortezza aggravando la già precaria situazione dei combattenti. Tra gravi privazioni e sofferenze - scarseggiano viveri e munizioni - passa così l’inverno 1570.


Stefano Gibellino, L'assedio di Famagosta, 1571
Biblioteca Nazionale Francese, Parigi

   Nella primavera del 1571 Mustafà Pascià, che fino ad allora si è  illuso di far cadere Famagosta per fame, decide di passare all’offensiva.
All’alba del 19 maggio i millecinquecento cannoni turchi scatenano un bombardamento di potenza inaudita che si prolunga senza soste, notte e giorno, per millesettecentoventotto ore, sino alla fine della battaglia, con una tattica di demolizione sistematica delle postazioni difensive e di debilitazione psicofisica degli avversari. Ma poichè non bastano a piegare Famagosta le 170 mila cannonate sparate durante la battaglia, Mustafà Pascià passa alla “guerra delle mine”, con un impiego di esplosivo talmente grande per quantità e potenza da risultare senza precedenti.
I turchi scavano nottetempo lunghissimi cunicoli sotto il fossato e raggiungono così le fondamenta dei forti, minandole con forti cariche di esplosivo. Vasti tratti di postazioni saltano improvvisamente per aria sotto i piedi dei veneziani, mentre i turchi attaccano selvaggiamente a più ondate.
  L’8 luglio cadono su Famagosta 5 mila cannonate: è il preludio ad un ennesimo attacco generale che l’indomani si scatena, più massiccio che mai, contro il forte del Rivellino. Per arrestare i turchi, Bragadin non esita a dar fuoco alle polveri ammassate nei sotterranei della piazzaforte, sacrificando trecento soldati veneziani ed il loro comandante, Roberto Malvezzi. Con loro sotto le macerie del forte rimangono sepolti migliaia di ottomani.
  A difendere Famagosta sono rimasti ormai solo duemila uomini, in gran parte feriti, debilitati dalla fame e dalle fatiche. Da tempo, esaurite le vettovaglie, militari e civili ricevono come razione giornaliera un po’ di pane raffermo ed acqua torbida con qualche goccia di aceto. La situazione è disperata, anche se finalmente la Santa Lega contro il turco è stata sottoscritta, il 20 maggio, da tutti gli Stati interessati. Ma la flotta spagnola arriverà a Messina, dove già si sono date appuntamento le altre navi alleate, solo alla fine di agosto, quando ormai Famagosta è costretta a capitolare.
Il 29 luglio i difensori respingono un’altra terribile offensiva del nemico: decine di migliaia di turchi si alternano all’attacco che continua ininterrotto per oltre 48 ore, fino alla sera del 31, quando salta in aria il forte dell’Arsenale.
Per la prima volta, dopo 72 giorni, i cannoni ottomani finalmente tacciono; centinaia e centinaia di turchi giacciono sul campo di battaglia e sotto le mura della fortezza. Tra gli altri, lo stesso figlio primogenito di Mustafà Pascià. Questi, ignorando le misere condizioni degli assediati e preoccupato per le gravi perdite subite, offre ai veneziani patti insolitamente generosi ed onorevoli: se si arrendono, tutti avranno salvi vita ed averi, la popolazione sarà rispettata, chi lo chiederà sarà trasportato in un paese neutrale, onori militari per i vinti.


Anonimo veneto-greco, La resa di Famagosta (?), seconda metà XVI sec.
Museo civico di Castelfranco veneto 

   Marcantonio Bragadin non vuole nemmeno ricevere il messaggero turco e, presagendo quanto sarebbe accaduto in caso di resa, respinge sdegnosamente l’offerta. Ma la maggior parte degli ufficiali, dei soldati, la stessa popolazione invocano la fine di una lotta troppo impari. Famagosta, abbandonata dalla madrepatria, non ha più alcuna speranza di salvezza: bisogna almeno salvare la vita ai superstiti e salvaguardare la popolazione civile. I rappresentanti dei cittadini (Mathias Solphios, capo del Consiglio cittadino), il Vescovo (?), i magistrati, appositamente convocati, optano tutti per la resa. Tanto più che al primo di agosto rimangono solo munizioni per una giornata di fuoco, mentre i difensori ancora validi sono ridotti a settecento (in media uno ogni 50-60 metri del perimetro difensivo).
La capitolazione sarà comunque firmata solo dal generale Astorre Baglioni.
Così il 4 agosto, dopo dieci mesi di assedio, i turchi possono entrare a Famagosta.
 
   Come Bragadin, che non volle firmare l’atto di resa, aveva previsto, i turchi non rispettano i patti. Mustafà Pascià, esasperato per la morte del figlio e dalla mancata espugnazione di Famagosta, soprattutto dopo aver accertato l’esiguità numerica dei veneziani, fa massacrare a tradimento tutti gli ufficiali e deportare come schiavi i soldati.
Marcantonio Bragadin viene scuoiato vivo dopo tredici giorni di atroci torture: “... e lentamente staccarono dal suo corpo vivo la pelle, spogliandola in un sol pezzo, a cominciare dalla nuca e dalla schiena, e poi il volto, le braccia, il torace e tutto il resto ...”.
La pelle riempita di paglia è esposta a guisa di trofeo sull’antenna più alta della nave di Mustafà Pascià.
I turchi lasciarono sotto le mura di Famagosta ben 80 mila uomini, quanti all’inizio avevano destinato alla conquista dell’intera Cipro; i veneziani circa seimila.

Secondo la versione turca, il massacro sarebbe dovuto alle risposte sprezzanti del Bragadin, che avrebbe prima negato a Mustafà Pascià di trattenere Antonio Querini come ostaggio a garanzia delle navi su cui i veneziani si sarebbero imbarcati, e quindi avrebbe tranquillamente confessato di aver fatto giustiziare (forse la notte stessa della resa) i prigionieri musulmani (alcuni dei quali catturati sulla via del pellegrinaggio). La supposta cupidigia omosessuale di Mustafà Pascià nei confronti di Querini è avanzata per la  prima volta dalla Renier Michiel (Origine delle feste veneziane, 1817)


Fonti dirette della cronaca dell’assedio:
  1. Nestore Martinengo, Relatione di tutto il successo in Famagosta, Venezia 1572. Giunto a Famagosta come volontario con il convoglio del Querini. La notte del 5 agosto riesce a nascondersi a casa di un greco. Successivamente si consegna ad un ufficiale turco che lo fa schiavo. Riesce miracolosamente a fuggire e dopo varie peripezie è il primo reduce a fare rientro in patria. Scrive la sua relazione su incarico del Senato della Repubblica.
  1. Angelo Gatto da Orvieto. Soldato di ventura fedelissimo di Astorre Baglioni insieme a cui giunge a Cipro nel 1569. E' a Famagosta dalla metà dell' agosto 1570; il 5 luglio 1571 viene promosso capitano e posto al comando di una compagnia. Dopo la resa viene fatto schiavo e condotto a Costantinopoli. Nel 1573 scrive una relazione dell'assedio e della sorte dei prigionieri con l'intento di farla pervenire ad Adriano Baglioni, fratello del suo comandante, per sollecitarne l'aiuto. Una copia del manoscritto viene ritrovata sul finire del XIX secolo dal sacerdote orvietano Policarpo Catizzani che ne cura la pubblicazione con il titolo: Narratione del terribile assedio e della resa di Famagosta nell'anno 1571 da un manoscritto del capitano Angelo Gatto da Orvieto, Orvieto 1895.
  1. Frate Agostino. Priore dei frati eremitani del convento di S.Antonio durante l'assedio. Probabilmente di origine greca. La sua relazione - come recita il finale del documento stesso - fu letta in Senato il 12 febbraio 1572 (probabilmente dallo stesso autore) e data alle stampe nel 1891 da Nicolò Morosini, che l'aveva ritrovata nell'archivio di famiglia.
  1. Ufficiale anonimo. E’ il diario di un soldato (capitano o ufficiale) di cui non si sa praticamente nulla, neppure se riuscì mai a tornare dalla prigionia. Pubblicato a Venezia nel 1879 da Leonardo Antonio Visinoni.
  1. Alessandro Podocataro. Nobile cipriota, giunge a Famagosta con 300 soldati reclutati nel suo feudo insieme al padre e al fratello, che muoiono sugli spalti. Fatto schiavo nonostante che condotto dinanzi al Bragadin questi testimoni la sua grecità, paga il riscatto e dopo circa un mese di galera ripara a Venezia. Nel romanzo della Siliato è probabilmente indicato come segretario del governatore. I Podocataro erano stati fatti baroni di Kiti dopo l’abdicazione di Caterina Cornaro. Il suo manoscritto fu pubblicato a Venezia nel 1876 con il titolo: Relatione de' successi di Famagosta dell'anno 1571 ora per la prima volta pubblicata. Per le auspicatissime nozze: Bonomi-Bragadin.
  1. Matteo da Capua. Capitano addetto ai fuochi artificiati. Lettera a Marcantonio Barbaro, bailo di Venezia, inviata dalla prigione di Costantinopoli in data 28 ottobre 1571 perché interceda per la  liberazione sua e degli altri prigionieri (Biblioteca Marciana, Mss. italiani, Cl.7, n.391).
Bibliografia:

Maria Grazia Siliato, L'Assedio, Mondadori, Milano 1995.
Gigi Monello, Accadde a Famagosta, Scepsi & Mattana, Cagliari 2006



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